Capacità della mente
Quest’estate, passando per Fiera di Primiero, vicino alla Biblioteca, ho notato questa curiosa scultura dell’artista Jennifer Taufer, che ci ricorda la tempesta Vaia.
Mi sono soffermata sulla capacità della mente di completare l’immagine: che gran cosa!
Allo stesso modo la nostra mente completa una miriade di informazioni ed emozioni che ci arrivano ed, ahimè, non sempre sono corrette.
Mi spiego.
A me capita un sacco di volte, soprattutto quando qualcuno mi vuole spiegare un itinerario, o una strada, di agganciare delle parole che mi fanno creare una mappa che è molto lontana da quella che mi sta spiegando il mio interlocutore e questo purtroppo non mi permette di capire le indicazioni nel modo corretto.
Capita anche a te?
Andre (mio marito n.d.r.) conosce bene questa mia fantastica elaborazione che è stata molto spesso causa di incomprensioni e litigi.
Ormai mi conosco anch’io, ed ho imparato a tempestarlo di domande per confrontare la mia mappa con la sua, altrimenti, lo so, finisce che non riesco ad utilizzare utilmente le indicazioni date.
L’amigdala
Il fatto è che la mente, nello specifico l’amigdala, per farci risparmiare energia, ogni volta che capta qualcosa che riconosce, o, ATTENZIONE!, crede di riconoscere, associa delle immagini che ha già immagazzinato nella sua memoria in altre occasioni e ci propone la sua soluzione. Inserisce il pilota automatico, ma molto spesso, la soluzione proposta non è quella giusta!
Questo succede con le parole, con i suoni, con le immagini, con i profumi, con le emozioni.
Queste ultime hanno, inoltre, una valenza speciale.
Atavicamente il pericolo è da fuggire, quindi la nostra mente ha un canale preferenziale per riconoscere e rifuggire tutto ciò che ci ha fatto già del male. E’ come se nelle nostre cellule, si formasse una scanalatura precisa che contiene la forma di quell’emozione che abbiamo vissuto durante un’esperienza dolorosa. Ogni volta che la mente la riconosce, o solamente CREDE di riconoscerla, le nostre cellule si attivano; la riconoscono e la fanno passare proprio per quella forma che avevano già preparato.
Cosa significa questo?
Come una sorta di dipendenza le nostre cellule attraggono con facilità tutte quelle emozioni negative e poco utili che a livello energetico creano delle frequenze basse, sorde e continue che vanno ad intaccare la nostra energia.
Questo succede naturalmente anche con tutte le emozioni positive, ma, mentre le emozioni negative hanno delle frequenze basse e continue e quindi facilmente ritrovabili, le emozioni positive le dobbiamo riformulare più spesso, hanno frequenza alta, e sono di breve durata. Per fortuna, però, le emozioni positive sono molto più potenti.
Quando i miei figli erano piccolini era uscito un film di animazione della Pixar intitolato Monster – Collection 2016 (DVD) (Se non lo conosci, fai in modo di vederlo, perché è impensabile vivere senza averlo visto. :-))
Bene, la storia racconta di una fabbrica di energia elettrica che è alimentata dalle urla dei bambini, spaventati da mostri che si nascondono nelle loro camerette. I mostri arrivano nelle camere tramite un sistema di porte che si aprono negli armadi dei bimbi. Il mostro buono Sullivan, scopre, invece, che le risate dei bambini sono molto più proficue e convince la dirigenza a cambiare modalità e quindi far divertire i bambini, anziché terrorizzarli.
Un esempio che ogni mamma vi potrà confermare è proprio il parto. Anche le donne che hanno sofferto di più, a distanza di tempo, non ricordano più il dolore, proprio perché sovrastato dalla gioia della nuova nascita.
Ok.
Ero partita dal cervo completato dalla nostra mente, ricordi? 😀
Mi sono persa nel fantastico mondo delle emozioni, ma torniamo alle parole.
La comunicazione
Proprio questa capacità interpretativa alle volte ci fa prendere dei granchi mostruosi. Ecco perché è importante estrarre la lente d’ingrandimento e come un provetto Sherlock Holmes, andare ad indagare se ciò che la nostra mente ci propone è corretto o meno e sopratutto se ci è utile.
Questo serve moltissimo nella comunicazione con le altre persone, nella comunicazione con noi stessi e anche quando ci accorgiamo che abbiamo delle abitudini e dei comportamenti simili che ci portano molto spesso dove non vogliamo andare.
Quando la nostra mente ci propone delle soluzioni che ci accorgiamo non essere particolarmente utili, sono proprio le domande che ci rimettono sulla giusta strada.
- Quando sto parlando con qualcuno, posso fare un check di cosa ho capito chiedendo se è corretto. Per es.: Mi stai dicendo che[…], ho capito bene? Questo mi permette di interagire con i mio interlocutore e confermare o meno ciò che sto capendo.
L’ascolto è la prima regola; per ascoltare bene è necessario, però, fermare il nostro dialogo interno, ossia quello che ci diciamo nella nostra mente. Posso andare nello specifico e chiedere più informazioni possibili per evitare di creare delle mappe diverse da quelle del nostro interlocutore e se ho necessità posso fare delle domande che mi permettono di intendere se sto capendo correttamente. Le domande sono come i segnali stradali che mi indicano se la strada è corretta, mi permettono di vedere con gli occhi di chi ho di fronte.
- Se la creazione della mia mente ha a che fare con le abitudini, devo prima di tutto decidere se mi è utile fare l’investigatore, oppure se ciò che mi serve è solo procedere. Da cosa dipende il mio ruolo? Dipende se l’abitudine mi è utile, o meno. Mi spiego con un esempio: vedo una rosa, anche solo di sfuggita, non serve che mi faccia tutte le domande del libro di botanica; potrei addirittura riconoscere una rosa, solo vedendo il gambo con le spine, non trovi? Ma se chi mi spiega una strada, mi dice .”Alla rotonda, giri a destra”, come minimo devo capire quale rotonda, in quale città, vicino a che cosa.. Devo avere dei riferimenti in più, altrimenti rischio di perdermi!
- Quando infine il pilota automatico si inserisce nelle emozioni la risposta più utile è quella di riconoscere l’emozione stessa. Se quando qualcuno alza la voce, io mi irrito e mi arrabbio, nel momento in cui mi rendo conto di questo, posso decidere di cambiare. Qual’è il risultato diverso che voglio ottenere? Cosa posso modificare per ottenere un risultato diverso? Quale vorrei fosse la mia reazione?
Ti faccio un esempio comune. Una delle maggiori paure delle persone, è il parlare in pubblico. Molti arrivano proprio a balbettare, sudare ed essere impossibilitati a continuare. Molto spesso la loro paura è antica, parte il più delle volte dai banchi di scuola, dove, davanti a maestre o professori, probabilmente è capitato non fossero preparati adeguatamente per un’interrogazione e si sono preoccupati di fare brutta figura davanti a tutta la classe.
La loro mente riconosce una situazione già vista e mette in atto tutta una serie di difese, proprio per difendersi da quella situazione che la persona legge, come paura. Ecco i sudori, ecco le gambe molli, ecco la voglia di fuggire, ecco il buio totale su quello che volevamo dire. Nel momento in cui riconosciamo questa paura atavica abbiamo la possibilità di far cambiare il corso degli eventi.
Una delle armi migliori è la risata, ma puoi anche cambiare il modo in cui stai in piedi allargando le spalle e guardando bello diritto e fiero, puoi focalizzarti sul respiro e allungare intenzionalmente inspiro espiro, trovando così il modo, di scaricare la tensione… Un’altra strategia super funzionale è quella di attivare delle ancore, che ti permettono di far attivare degli stati d’animo utili per quel momento.(Se vuoi saperne di più, scrivimelo nei commenti! )
In fondo, cos’è la peggior cosa che ti potrà succedere? Queste modifiche nella tua postura, il ridere, il respiro, sono solo alcune delle azioni che influenzano le sostanze chimiche prodotte dai nostri ormoni. Se la paura e l’ansia tendono a produrre adrenalina e cortisolo, sostanze che a lungo andare non ci fanno stare bene, e innescano tutte le reazioni della paura, dall’altra parte, il sorriso, la postura aperta, l’espressione del viso, il movimento e il respiro, aiutano i nostri ormoni a produrre sostanze del benessere: Dopamina, Ossitocina, Serotonina e Endolfrine. Tecnicamente queste azioni servono tutte per gestire lo stato d’animo.
Quante volte ci troviamo in situazioni in cui il saper gestire il nostro stato ci potrebbe essere utile? Penso ai ragazzi a scuola, ad un importante incontro di lavoro, alle prestazioni sportive a tutti i momenti difficili che ci si presentano, alle volte che ci arrabbiamo o che ci sentiamo tristi o stressati.
Il nostro stato d’animo, il più delle volte, è determinato proprio dal pilota automatico, che riconosce qualcosa che abbiamo già vissuto e decide di attivare tutte le nostre difese.
Il pilota automatico non sa che ciò che ti è successo nel passato è passato, appunto. Quindi se tu sai ciò che devi dire, non farai nessuna figura barbina, anzi!
Giuro che mentre parli in pubblico, non rischi la vita!
Inoltre ciò che stai pensando tu è solo nella tua testa, chi ti dice che il tuo pubblico non ti stia ascoltando e stia reputando interessante ciò che dici?
Concludo questo articolo con una famosa frase di Henry Ford che semplifica le tesi di Albert Bandura, sull’aspettativa di auto efficacia.
“Che tu creda di farcela, o di non farcela, avrai comunque ragione!”
E tu, come la pensi?
Quando ti capita di avere il pilota automatico, inserito?
Raccontamelo nei commenti!
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